Famiglia Della Pergola-Camerini

Famiglia Della Pergola-Camerini
Le pietre sono state posate il 13 gennaio 2018 in via Duca d'Alessandro 56, Parma.

I Della Pergola-Camerini erano tra i più in vista nella comunità ebraica del parmense. Nei giorni precedenti il rastrellamento degli ebrei da parte degli agenti della Questura e dei fascisti della Repubblica sociale, Enrico Della Pergola, Emilia Camerini e i loro due figli, residenti in Via Torelli 10, e gli altri componenti della famiglia Camerini, residenti in Via Duca Alessandro 56, presagendo la deportazione, abbandonarono le loro abitazioni.

Enrico Della Pergola, rabbino di Parma, pensando di essere lui l’obiettivo dei nazifascisti, decise di tentare la fuga verso la Svizzera, insieme ai fratelli della moglie, Emanuele e Giacomo Camerini. Vi riuscì, riparando oltreconfine, mentre i fratelli si videro costretti a rifugiarsi prima a Voghera e poi a Genova, dove rimasero a lungo in clandestinità.

Non altrettanto fortunata fu la sorte di Emilia Camerini, moglie di Enrico, dei due figli, Cesare Davide e Donato Della Pergola, rispettivamente di 8 e 11 anni, delle tre sorelle, Ulda, Letizia e Gemma, e della loro anziana madre, Carolina Orsola Amar. Il 10 dicembre 1943 furono infatti tutti catturati a Reno di Tizzano Val Parma da un nucleo fascista locale, guidato dall’ex centurione Giovanni Scajola, mentre tentavano di trovare rifugio in una casa che frequentavano durante le vacanze estive. Dopo l’arresto, le cinque donne e i due bambini furono immediatamente internati nel campo di concentramento di Monticelli Terme.

Ad Orsola, che aveva più di settant’anni di età, il 18 dicembre 1943 fu concesso di uscire dal campo.

Gemma Camerini, invece, gravemente ammalata, subito dopo l’arrivo a Monticelli, fu ricoverata all’Ospedale Maggiore e in seguito fu dichiarata “prosciolta” dall’internamento.

La sorte di Letizia fu in parte simile a quella della sorella: affetta da “ipertensione con complicazioni renali”, il 4 marzo 1944 fu portata in ospedale; il 28 settembre, tuttavia, come attesta una nota della direzione dell’Ospedale di Parma, la donna si era resa irreperibile. Nessuno si era infatti accorto che la crocerossina Luisa Minardi – come si vedrà nella scheda dedicata alla famiglia Camerini nella sezione “salvataggi” – aveva fatto uscire di nascosto Letizia dall’ospedale, conducendola nella propria abitazione. Dato il peggioramento delle condizioni di salute, la donna non poté più rimanere nella casa di Luisa e, per questo, la crocerossina fu costretta a farla ricoverare, sotto il falso nome di Maria Fulgenti, presso l’Istituto del Buon Pastore a Parma. Nonostante gli sforzi di Luisa, Letizia non riuscì a guarire dalla malattia e morì il 7 febbraio 1945.

Diverso fu il destino di Ulda ed Emilia Camerini e dei due figli di Emilia, Cesare Davide e Donato.

Essi rimasero nel campo di Monticelli fino al 9 marzo 1944, giorno in cui furono tutti trasferiti nel campo di Fossoli.

Il 5 aprile, dopo meno di un mese dall’arrivo a Fossoli, la famiglia fu deportata ad Auschwitz-Birkenau.

Cesare Davide, Donato e Ulda, non riuscendo a superare la selezione iniziale, furono uccisi il 10 aprile, il giorno stesso in cui giunsero nel campo. Emilia morì poco più di un mese dopo, il 23 maggio.

Fonti:

- M. Minardi, Invisibili. Internati civili nella provincia di Parma, 1940-1945, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 183, 206, 207, 210-214, 230.

- M. Minardi, I bambini di Parma nel lager di Auschwitz, Parma, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, 2003.

- M. Minardi, Le leggi razziste e la persecuzione degli ebrei a Parma. 1938-1945, «Storia e Documenti» 2, 1989, pp. 76-77.

- Testimonianza di Maurizio Camerini, figlio di Emanuele Camerini.

- Archivio di Stato di Parma, Quest., Gab., fondo “Ebrei”.

- Archivio ISREC Parma, fondo “A. Foà”.

- Banca dati relativa agli ebrei vittime della persecuzione e deportazione dall’Italia fra il 1943 e il 1945 consultabile sulla piattaforma digitale “I nomi della Shoah” realizzata dal CDEC, “Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea”.

- M. Galvagno, La Chiesa e il salvataggio degli Ebrei nel Parmense, «Storia e Documenti» 6/01, 2001, pp. 67-68, 76-77.