La Brigata Nera nacque nel giugno del 1944. L’aggettivo che designava questa organizzazione si richiamava al tradizionale colore del fascismo, che la Repubblica sociale italiana si proponeva di far rivivere sotto nuove forme, e all’idea di una rinnovata militarizzazione del Partito Fascista Repubblicano. Quest’ultima esigenza, in particolare, si era manifestata a seguito del progressivo avanzamento degli Alleati dal Sud Italia dopo l’8 settembre 1943 e della crescente organizzazione del movimento resistenziale nel Parmense. Entrambi i fenomeni avevano convinto i repubblichini parmensi ad una radicalizzazione delle loro strutture. La sede della Brigata Nera fu individuata negli spazi requisiti all’Università, in via Walter Branchi. A capo del gruppo era Pino Romualdi, segretario federale del Partito ed esponente di spicco del fascismo nazionale, nonché giornalista ed ex direttore, nel 1943, del “Corriere Emiliano” (nome della “Gazzetta di Parma” durante il Ventennio. Affiancava Romualdi il tenente Egisto Maestri. Le cantine di via Branchi divennero tristemente note per via delle torture inflitte ai prigionieri antifascisti lì reclusi. Nell’edificio, infatti, gli esponenti della Resistenza clandestina venivano tenuti prigionieri e sottoposti a torture. Urla e i lamenti si udivano distintamente nelle strade adiacenti. Fu proprio da questi spazi che, nella notte del primo settembre 1944, sette antifascisti – Giuseppe Barbieri, Vincenzo Ferrari, Gedeone Ferrarini, Afro Fanfoni, Eleuterio Massari, Ottavio Pattacini e Bruno Vescovi – furono prelevati e condotti fino a piazza Garibaldi, dove furono fucilati e i loro corpi furono abbandonati, come monito per la popolazione.