Jacob Musafia nacque a Sarajevo l’8 novembre 1895; in seguito all’invasione e all’occupazione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse, insieme alla famiglia si rifugiò a Spalato, città sottoposta al controllo del governo italiano.
Nel dicembre 1941, per ordine delle autorità italiane, si trasferì insieme alla famiglia a Gramignazzo, una frazione del Comune di Sissa, dove visse per circa due anni attenendosi alle rigide norme che regolavano l’“internamento libero”.
Nonostante le differenze culturali e linguistiche che li separavano dalla popolazione locale, i Musafia ricevettero accoglienza e ospitalità da alcune famiglie del posto – in modo particolare i Pagliari, i Ponghellini e i Pizzi - che concessero loro in affitto alcuni dei loro immobili. Dopo l’8 settembre 1943 i Musafia, per sfuggire al rischio di cattura da parte dei tedeschi, si allontanarono dalla loro abituale abitazione e trovarono rifugio in un capanno degli attrezzi situato all’interno di un terreno coltivato dai Ponghellini. In quell’occasione Esterina Poletti Ponghellini, moglie di Enzo, figlio di Telesforo, il capofamiglia, si adoperò per prestare soccorso alla famiglia di ebrei: ogni notte di nascosto si recava nel nascondiglio dei Musafia per portare loro cibo e vestiti; in quello stesso frangente, altri membri della comunità locale furono disposti a sfruttare il potere legato ai loro ruoli professionali per aiutare la famiglia ebrea: l’impiegato dell’Ufficio anagrafe del Comune di Sissa, Alfiero Azzali, godendo della tacita approvazione del podestà del paese, insieme alla figlia si impegnò ad ottenere dei documenti falsi che consentissero ai Musafia di oltrepassare il confine svizzero. A dirigere l’intera operazione di salvataggio fu però Emilio Cellulare, il responsabile dell’Ufficio stranieri della Questura di Parma, come si evince da una lettera inviata a quest’ultimo dall’avvocato Giacomo Ottolenghi, a capo della DELASEM di Parma, che a sua volta aveva ascoltato la testimonianza di Isidoro Papo, uno degli ebrei internati a Sissa che, insieme alla famiglia Musafia, riparò in Svizzera.
L’operazione, guidata da Cellulare e concretamente messa in atto da Alfiero Azzali, ebbe esito positivo: il 23 settembre 1943 i carabinieri inviarono alla Questura un rapporto in cui si affermava che i membri della famiglia internata a Gramignazzo si erano “misteriosamente allontanati nella notte tra il 15 e il 16 in ore imprecisate per destinazione ignota”. A Parma i Musafia, sotto falso nome, si rifugiarono presso l’abitazione di alcune famiglie di parmigiani. In seguito, tutti i membri della famiglia, fatta eccezione per i due fratelli Josif e Haim, riuscirono a raggiungere la Svizzera e a mettersi in salvo.
Josif e Haim, anziché seguire gli altri nel proposito di rifugiarsi in territorio svizzero, avevano deciso di dirigersi verso sud, nel tentativo di raggiungere il fronte alleato. I due fratelli misero in atto un piano che prevedeva varie fasi: innanzitutto, spacciandosi per sfollati provenienti da Bari, si recarono all’Ufficio anagrafe del Comune di Parma, dove ottennero il nullaosta per il trasferimento provvisorio di residenza; il giorno successivo si rivolsero alla Polizia locale per ottenere i documenti d’identità, falsamente dichiarati smarriti, e furono ancora una volta soddisfatti: ricevettero due documenti di identità con i nomi di Vittorio e Alfredo Politi. La loro “corsa” si arrestò tuttavia a Firenze, dove fu scoperta la loro vera identità: il 30 novembre 1943 entrambi furono arrestati dalle milizie fasciste e rinchiusi nel carcere delle Murate, da dove furono poi trasferiti nel campo di Scipione. Haim, non appena arrivò a Parma, si ammalò e fu ricoverato all’Ospedale Maggiore; in seguito, grazie all’aiuto di un’infermiera di nome Maria, riuscì a fuggire e a ricongiungersi in Svizzera con il resto dei familiari. La sorte di Jacob, purtroppo, ebbe un esito differente: da Scipione fu condotto a Fossoli. Da lì il 5 aprile 1944 fu infine deportato ad Auschwitz-Birkenau, dove morì in data ignota.
Fonti:
- Banca dati relativa agli ebrei vittime della persecuzione e deportazione dall’Italia fra il 1943 e il 1945 consultabile sulla piattaforma digitale “I nomi della Shoah” realizzata dal CDEC, “Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea”.
- Database “Ebrei stranieri internati in Italia durante il periodo bellico”, a cura di Anna Pizzuti.
- Banca dati “Deportati dal parmense”, disponibile nel portale “Parma ‘900” realizzato da ISREC Parma.
- M. Minardi, Invisibili. Internati civili nella provincia di Parma, 1940-1945, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 162-165, 186-187, 241, 336.
- Scheda relativa ai “Salvati” da Emilio Cellulare, consultabile nel portale “Pietre d’inciampo Parma” di ISREC Parma: https://pietredinciampoparma.it/i-salvati-da-emilio-cellurale.
- L. Picciotto, I Finci. Una famiglia ebraica in fuga da Sarajevo a Parma al monte Bisbino (1941-1944). In ricordo di Erna Finci Viterbi (20 gennaio 1934-17 febbraio 2015, articolo disponibile online al seguente indirizzo: http://old.cdec.it/home2_2.asp?idtesto1=1572&idtesto=940&son=1#.