Julka Deskovic, nasce a Srebrenico, in Croazia, il primo luglio 1917 in una famiglia fortemente politicizzata. Dopo le scuole si trasferisce a Belgrado per frequentare l’università e in questo ambiente entra in contatto con il movimento giovanile comunista. Quando le truppe italiane e tedesche invadono la Jugoslavia, Julka rientra nel paese natale e aderisce alla Resistenza. La sorella Vjekoslava partecipa con lei alla lotta antifascista ma viene arrestata alla fine del 1941 e condannata al confino a Ventotene. Nella primavera del 1942 anche Julka viene arrestata dai soldati italiani e mandata a Ventotene. Sull’isola si ricongiunge alla sorella e tesse i rapporti con i principali dirigenti del Partito Comunista clandestino in Italia. Dopo la caduta del Fascismo, nel luglio 1943, Ventotene viene fatta evacuare: Julka e la sorella in quanto cittadine slave, vengono trasferite nel campo di internamento destinato ai loro connazionali, Le Fraschette, in provincia di Frosinone. Dopo poche settimane sopraggiunge l’8 settembre; prima che le truppe tedesche irrompano nel camp, le due sorelle Deskovic scappano e si rifugiano a Bologna, dove vive il compagno di Vjekoslava, il dirigente comunista Celso Ghini. Julka decide di appoggiare il movimento resistenziale contro il nazifascismo e viene mandata a Parma insieme a Renato Giacchetti, partigiano del CUMER che diventa suo compagno. In città è ospitata dalla famiglia dell’antifascista Secondo Polizzi, abitante in vicolo Santa Maria 6. Il 31 luglio 1944 le milizie fasciste arrestano tutte le persone presenti nell’appartamento: Secondo Polizzi, la moglie Ida Mussini, la figlia Lina Polizzi, Julka Deskovic e Luigia Maria Badiali, partigiana di Bologna. Vengono tradotti nelle carceri di San Francesco e poi nella sede della polizia tedesca, a Palazzo Rolli. Qui Julka è sottoposta a pestaggi feroci, nonostante sia incinta. Viene processata sommariamente a Verona e condannata al carcere. Trasferita nel campo di Bolzano, nell’ottobre 1944 viene deportata nel lager femminile di Ravensbruck. Qui Julka riesce a portare avanti la gravidanza nonostante le terribili condizioni di vita del campo: la sua bambina nasce la sera di Natale 1944 e la chiama Slobodenka, “libera” in lingua croata. Ma a febbraio la piccola muore, insieme ad altri bambini, soffocati dai fumi della stufa dell’infermeria. Julka è ormai debilitata, fisicamente e moralmente: non più in grado di lavorare, è trasferita nell’ospedale del campo e salvata più volte dai trasporti verso le camere a gas da una dottoressa sua connazionale. Il 30 aprile 1945, quando Ravensbruck viene liberato, Julka è ancora viva. Muore di pleurite a inizio giugno, stroncata nel fisico dall’esperienza concentrazionaria.
Nel 2023 è stato realizzato un podcast sulla vita di Julka Deskovic, a cura di Maddalena Arrighini