Il 7 dicembre 1943 due agenti della polizia fascista giunsero in Via Imbriani 77 con un ordine di arresto. Il provvedimento era stato emesso dalla Questura per la cattura della famiglia Fano, di religione ebraica, in adempimento alle disposizioni generali contenute nella circolare n. 5 del 30 novembre 1943, redatta dal Ministro dell’interno della Repubblica sociale italiana.
La famiglia era composta da Enrico Fano e dalla moglie Giulia Bianchini, dai due figli, Alba ed Ermanno, dalla moglie di Ermanno, Giorgina Padova, e dai loro tre figli, Luciano, di 11 anni, Liliana, di 9, e Roberto, di soltanto un anno di età.
Al momento dell’arresto l’intera famiglia si trovava nell’abitazione di Via Imbriani, ma la presenza di Ermanno e del suo nucleo familiare nella casa paterna era piuttosto recente. Egli, infatti, nell’aprile del 1931, si era trasferito insieme alla moglie a Pellegrino Parmense, dove aveva rilevato la farmacia del paese.
Nel 1939, impossibilitato a proseguire l’attività lavorativa in seguito all’emanazione delle leggi antiebraiche, Ermanno, insieme alla moglie e ai primi due figli, Luciano e Liliana, nati nel paese dell’Appennino parmense, fu costretto ad abbandonare Pellegrino e si stabilì a Riccò, una frazione del comune di Fornovo Taro, dove decise, insieme al resto della famiglia, di convertirsi al cattolicesimo, probabilmente nell’illusione di poter sottrarre i figli alla dura condizione di segregazione e di clandestinità a cui erano sottoposti in quel momento gli ebrei.
Nel maggio 1942, infine, la famiglia fece ritorno a Parma e si trasferì nella casa di Via Imbriani.
Nonostante le difficoltà, Ermanno riuscì a trovare un impiego, seppur in clandestinità, presso la farmacia Mantovani, sita in Via Garibaldi, e ad iscrivere i due figli, in quanto ebrei convertiti al cattolicesimo, a due scuole private cattoliche: l’Istituto delle Orsoline in Borgo delle Orsoline, frequentato da Liliana, e l’Istituto de La Salle, frequentato da Luciano.
Fu proprio in questo periodo, precisamente il 27 settembre 1943, che nacque il terzo figlio di Ermanno, Roberto.
L’arresto del 7 dicembre intervenne a sconvolgere irrimediabilmente questa apparente “normalità” ritrovata dei Fano: dopo l’arrivo dei due agenti di polizia, l’intera famiglia fu immediatamente trasportata in Questura, che, fatta eccezione per i due familiari più anziani, come si vedrà, costituì il punto di partenza per un percorso di internamento che ebbe il peggiore degli epiloghi.
I provvedimenti non furono uguali per tutti: Enrico e Giulia, di età avanzata e di salute cagionevole, furono “prosciolti” e rimandati a casa; Alba e Giorgina, insieme ai tre bambini, Luciano, Liliana e Roberto, furono mandate nel campo di concentramento di Monticelli Terme, mentre Ermanno, separato da tutti gli altri, fu internato nel campo di Scipione.
Per Alba e per Ermanno alla desolazione per l’internamento si aggiunse la preoccupazione per gli anziani genitori, che rischiavano di rimanere privi di mezzi di sussistenza: alcuni documenti conservati nell’Archivio di Stato di Parma restituiscono la testimonianza delle richieste di licenza e di “proscioglimento” dei due fratelli, che riuscirono ad ottenere, tuttavia, solo brevi permessi temporanei.
Alba, Giorgina e i bambini poterono incontrare di nuovo Ermanno soltanto il 9 marzo 1944, dopo il trasferimento da Monticelli Terme al campo di Fossoli, dove lo stesso giorno era giunto anche Ermanno da Scipione.
La permanenza a Fossoli durò meno di un mese: il 5 aprile l’intera famiglia fu costretta a salire sul convoglio n. 09, destinazione Auschwitz-Birkenau.
Luciano, Liliana e Roberto furono uccisi il 10 aprile, il giorno stesso in cui arrivarono nel campo; di Alba, di Ermanno e di Giorgina non si ebbe invece più traccia: morirono in luogo ignoto e in data ignota.
Enrico Fano e Giulia Bianchini, che, per ragioni legate all’età e al cattivo stato di salute, come si è detto, erano riusciti a sfuggire al terribile destino che aveva toccato il resto della famiglia, subirono una sorte altrettanto tragica: Enrico, arrestato nell’estate del 1943, morì nel carcere di San Francesco nel gennaio del 1945; Giulia fu invece deportata nel campo di Bolzano-Gries, dove fu fatta morire in una cella di punizione, lasciata senza cibo e senza acqua.
Fonti:
- M. Minardi, Invisibili. Internati civili nella provincia di Parma, 1940-1945, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 182, 221, 222, 241, 241, 283, 301, 339.
- M. Minardi, I bambini di Parma nel lager di Auschwitz, Parma, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, 2003.
- M. Minardi, Le leggi razziste e la persecuzione degli ebrei a Parma. 1938-1945, «Storia e Documenti» 2, 1989, pp. 75-76.
- Banca dati relativa agli ebrei vittime della persecuzione e deportazione dall’Italia fra il 1943 e il 1945 consultabile sulla piattaforma digitale “I nomi della Shoah” realizzata dal CDEC, “Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea”.
- Archivio di Stato di Parma, Quest., Gab., “Ebrei”.