Dora Klein

Dora Klein
Pietra d'inciampo posata il 26 gennaio 2022 in Piazza Prospero Manara 6, a Borgo Val di Taro (dinanzi al Municipio).

Dora Klein, ebrea polacca, nacque a Lodz il 25 gennaio 1913. Studiò medicina all’università di Bologna e si laureò nel 1936; nel 1937 superò l’esame di Stato a Napoli e divenne la più giovane donna che in Italia avesse conseguito l’abilitazione alla professione di medico. Dopo gli studi, Dora, durante una gita a Fiume, incontrò un sottufficiale di marina e se ne innamorò. I due avrebbero voluto sposarsi, ma la Marina si oppose alla loro unione: Dora era straniera. 

Nel frattempo, la donna e il sottufficiale ebbero una figlia: Silvia. 

Dora Klein, sotto sorveglianza in quanto ebrea straniera, non poté seguire il compagno, in servizio presso La Spezia, e non poté scampare all’internamento.

La donna nel maggio del 1941 fu internata, insieme alla figlia, a Borgotaro, dove assunse lo status di “internata libera”. Dovette sottostare al divieto assoluto di allontanarsi dal Comune e ad altri obblighi che limitavano la libertà personale: non era possibile tenere con sé i documenti, possedere armi, leggere giornali stranieri, parlare di politica e intrattenere relazioni con la popolazione locale. 

Dopo l’8 settembre, mentre tutti gli altri ebrei jugoslavi internati liberi a Borgotaro, anche grazie al salvifico aiuto del responsabile dell’Ufficio stranieri della Questura di Parma, Emilio Cellurale, riuscirono a fuggire, Dora Klein rimase a Borgotaro. Quando poi, il 30 novembre 1943, la Repubblica Sociale Italiana emanò la circolare n. 5, che prevedeva l’internamento di tutti gli ebrei residenti nel territorio nazionale in campi provinciali e la confisca di tutti i loro beni, Dora capì che non aveva più una via di fuga e decise di affidare la figlia ad uno zio paterno, che si trovava ad Udine: in questo modo, la bambina, figlia di un padre non ebreo e, per questo, non soggetta all’internamento, si sarebbe salvata. 

Con queste parole Dora ricorda quel triste momento nel suo diario, intitolato “Vivere e sopravvivere”:

La situazione stava diventando insostenibile per noi. Decisi come primo provvedimento di allontanare mia figlia da me, e fu un’intuizione davvero eccezionale che salvò la vita ad entrambe. Col senno di poi, a tragedia avvenuta, sarebbe fin troppo facile sentenziare: «Non poteva che agire così». Per me invece fu una decisione contrastata e sofferta, non presa certo a cuor leggero. Mi sostenne allora la ferma convinzione di comportarmi nell’unico modo giusto ed inevitabile. 

Dopo aver compiuto questa difficile, ma “inevitabile” scelta, Dora si trovò da sola a scontare gli ultimi istanti dell’internamento a Borgotaro e ad aspettare il momento dell’arresto:

A Borgotaro mi sentivo assediata, senza alcuna via d’uscita per sfuggire alla morsa che sentivo stringermi sempre più da vicino. Mi trovavo sola, priva di mezzi e forse pure carente di iniziative per mettermi in qualche modo al riparo. […]. D’altronde, l’idea di rintanarmi da qualche parte sotto falso nome non mi attirava affatto e, tutto sommato, avevo deciso di affrontare a viso scoperto quello che il destino aveva riservato a me e ai miei simili.

Dora Klein fu arrestata il 30 novembre del 1943 e fu internata nel campo di Monticelli Terme. Da lì, poi, il 9 marzo 1944, fu trasferita a Fossoli, dove rimase fino al 5 aprile, quando Dora Klein fu fatta salire, insieme a tutte le altre donne e ai bambini che con lei da Monticelli erano stati trasferiti a Fossoli, sul convoglio n. 09, direzione Auschwitz

Così nel suo diario Dora rievoca il momento del suo arrivo nel campo di sterminio:

Il viaggio è durato qualche giorno, non so. Non si distingueva il giorno dalla notte. Ogni tanto uscivamo in qualche stazione a prendere un po’ di acqua, ma subito… Poi arrivati ad Auschwitz, bastoni, grida, urla per spaventarci […]. Per prima cosa dividevano gli uomini e le donne; poi non si sapeva più niente gli uni degli altri. I bambini con le donne. Per selezionare noi donne, poi, c’era quel famoso Mengele […]. Prima di fare la selezione, ha chiesto se ci sono medici. E meno male che io sapevo il tedesco. Io dico di sì. Lui mi ha messo da parte. Poi ha fatto… Noi non sapevamo la selezione cos’era. Qua… Qua… Qua… Però vedevamo che le donne, anche giovani, coi bambini, da una parte; le altre dall’altra parte. Poi per molto tempo chiedevamo: dove sono finiti quegli altri; ed era proibito dirlo. Col tempo l’abbiamo saputo. 

Dora Klein, grazie al diploma di laurea che aveva portato con sé e da cui non si era separata nemmeno quando le fu ordinato di spogliarsi di tutti i vestiti, fu impiegata in un distaccamento del campo, denominato Budy, come medico, una professione che poteva realmente salvare la vita ad Auschwitz. 

Così la donna, in un’intervista, descrive l’ingresso nel distaccamento:

Allora arrivo a Budy, mi hanno dato un vestito a righe, la stella di David; poi ad un certo momento hanno messo anche la striscia gialla.

Dora rimase ad Auschwitz fino a quando, sotto la minaccia dell’avanzata dell’Armata Rossa, il campo fu evacuato: iniziò allora la “marcia della morte” verso Bergen Belsen. Il viaggio fu terribile, ma ancora più terribile fu la vista del campo al momento dell’arrivo:

E poi ci hanno evacuato. Sono rimasti solo i moribondi e i molti malati che poi i russi li hanno trovati. […]. La maggioranza fu evacuata. Si viaggiava parzialmente a piedi, parzialmente nei treni. […]. Fu una cosa tremenda. 140 in un vagone bestiame. […]. Io dico: come ho fatto? Molto mi hanno aiutato le ucraine, devo dire. Io dico sempre che dal momento dell’arresto sono caduta in un certo trance, che non ti lascia considerare la situazione in cui ti trovi. Belsen era una cosa… non c’erano i forni crematori a Belsen, ma non so se era un bene o un male. Perché Belsen era una raccolta di cadaveri… non so descrivere. Montagne di cadaveri. Lì non c’era nessuna regola più di umanità. Io ho preso il tifo petecchiale. Lì eravamo di nuovo coperte di pidocchi dal capo ai piedi. Io penso che l’Inferno di Dante non ha niente a che vedere… L’Inferno, per quanto brutto sia, non era Belsen. Mi ricordo un pavimento grande grande, una sala con i morti insieme ai moribondi che gemevano, piangevano, che ancora avrebbero potuto vivere. 

Il 14 aprile 1945 arrivarono finalmente gli inglesi a Bergen Belsen e Dora Klein fu liberata: il suo Inferno ebbe fine. 

Fonti:

- D. Klein, Vivere e sopravvivere: diario 1936-1945, Milano, Mursia, 2001. 

- M. Minardi, Invisibili. Internati civili nella provincia di Parma, 1940-1945, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 124-125, 134, 166, 204-206, 215, 223-226, 229-231, 241-243, 261.

- Banca dati relativa agli ebrei vittime della persecuzione e deportazione dall’Italia fra il 1943 e il 1945 consultabile sulla piattaforma digitale “I nomi della Shoah” realizzata dal CDEC, “Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea”: http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-4265/klein-dora.html 

- Quando la laurea dell’Alma Mater poté salvare una vita. Il caso di Dora Klein, articolo pubblicato nella rivista online «Unibo Magazine»

- Intervista a Dora Klein realizzata dall’ANPI di Udine: https://www.anpiudine.org/testimonianze/la-storia-di-dora-klein/ 

- Archivio di Stato di Parma, Quest., Gab., “Ebrei”.