L’“internamento libero”, inteso come modalità di detenzione alternativa alla deportazione nei campi, iniziò ad essere applicato nel Parmense poco tempo dopo l’introduzione in Italia, nel giugno 1940, del sistema concentrazionario. Questa tipologia di internamento interessò sia nuclei di civili deportati, sia i cosiddetti “sudditi nemici”, soprattutto britannici e francesi, come nel caso di un gruppo di internati nel castello di Montechiarugolo, sia ebrei stranieri e, in particolar modo, a partire dal 1941, famiglie di ebrei provenienti dai Balcani.
In seguito all’occupazione della Jugoslavia da parte delle truppe tedesche e italiane, nell’aprile del 1941, si era infatti originato un consistente flusso migratorio che portò numerose famiglie ebree a trasferirsi dai territori della Penisola Balcanica occupati dai Tedeschi oppure dalla Croazia, dove si era insediato il governo filonazista e antisemita di Ante Pavelić, nelle regioni sottoposte al controllo italiano, nel tentativo di scampare ai rastrellamenti condotti dai tedeschi e dagli Ustascia. Le Autorità Italiane, da una parte per risolvere l’emergenza costituita dal costante aumento di profughi, costretti a vivere come sfollati, senza un alloggio e con scarsi mezzi di sussistenza, dall’altra per non cedere, per ragioni di opportunità politica, alle imposizioni dei Tedeschi, che pretendevano la riconsegna degli ebrei fuggiti dai territori sottoposti al loro controllo, misero in atto due diverse strategie: una prevedeva la detenzione degli ebrei “apolidi” in campi di internamento italiani come, ad esempio, quello di Ferramonti di Tarsia, che ospitò un gruppo numeroso di ebrei stranieri; l’altra consisteva, invece, nell’”internamento libero”, che prevedeva il confinamento di intere famiglie di ebrei in diversi comuni della penisola.
L’internamento cosiddetto “libero”, in realtà, garantiva ben poche libertà: gli “internati liberi” erano costretti a risiedere nel luogo che era stato loro assegnato, senza potersi muovere al di fuori del perimetro stabilito dal Podestà; non potevano uscire dalla propria abitazione prima delle sette del mattino e non potevano rientrare a casa dopo le 19 nei mesi invernali e dopo le 20 nei mesi estivi; dovevano presentarsi tre volte al giorno presso gli uffici comunali; non potevano tenere con sé apparecchi radio, passaporto e documenti personali; non potevano detenere armi; non potevano occuparsi di politica, leggere giornali stranieri e ospitare familiari senza l’autorizzazione della Questura. A queste limitazioni della libertà personale si aggiungeva spesso una condizione di indigenza: lo stato forniva soltanto un sussidio giornaliero di 8 lire ai capifamiglia e di 4 lire agli altri membri del nucleo familiare e un contributo mensile di 50 lire per l’alloggio.
Dalle ricerche condotte da Marco Minardi sugli elenchi di censimento dei confinati nel Parmense compilati nel periodo 1941-43 è risultata la presenza di 307 confinati, distribuiti in 29 comuni, la maggior parte dei quali arrivati nell’inverno 1941-42; gli internati nei comuni del Parmense rappresentavano varie categorie di persone soggette alla deportazione da parte del regime fascista, ma il gruppo più numeroso, che contava circa 245 individui, era costituito da ebrei jugoslavi.
Entrando più nel dettaglio ed esaminando, nello specifico, la condizione della comunità di “internati liberi” di Sorbolo attraverso la documentazione prodotta dalla Questura di Parma, dal Comune e dagli internati stessi, si può vedere più da vicino quali fossero le rigide norme previste dall’“internamento libero”. A Sorbolo gli internati, per poter raggiungere una località situata al di fuori del paese, dovevano inoltrare una richiesta alla Questura e al Ministero dell’Interno, a cui poteva seguire un’autorizzazione, come avvenne nel luglio del 1942, quando gli “internati liberi” di Sorbolo ottennero il nulla osta per recarsi una volta all’anno a Parma per “prendere il bagno”, oppure un rifiuto, come nel caso della richiesta inviata da Salom Lenka per poter far visita al figlio, prigioniero di guerra nel campo di concentramento di Aversa.
L’ottenimento di un lasciapassare, tuttavia, non allentava il rigore della sorveglianza; così si legge in un documento redatto dalla Questura in data 19 luglio 1942 con oggetto “Danon Sidi di Osco e marito Koen Isak, ebrei ex jugoslavi”: “Di seguito al foglio pari numero del 12 maggio c.a., comunico che, muniti di lasciapassare per Sorbolo con validità otto giorni, i soprascritti ebrei sono partiti da Abbazia il 13 corrente. Rinnovo preghiera per il rintraccio ed opportuna vigilanza e segnalazione di arrivo e partenza”.
La documentazione ci informa, inoltre, del rilascio, in certi casi, da parte della Questura, di autorizzazioni al trasferimento degli internati da un comune all’altro, soprattutto per consentire il ricongiungimento di familiari. Non sempre, tuttavia, le richieste venivano soddisfatte: emblematico è il caso della famiglia Israel, confinata a Langhirano, che, in data 23 settembre 1942, ricevette dalla Questura il respingimento di una domanda, precedentemente inoltrata, per il trasferimento nel proprio comune di residenza di alcuni familiari internati a Sorbolo: il Questore non solo si oppose all’istanza, ma invitò i Podestà di Langhirano e di Sorbolo a controllare in modo ancora più meticoloso la corrispondenza privata tra le due famiglie.
I documenti che meglio testimoniano le difficili condizioni di vita degli “internati liberi” sono quelli redatti dai confinati stessi. Per quanto riguarda il Comune di Sorbolo, si possono menzionare tre lettere: nella prima, scritta il 15 gennaio 1942 dai rappresentanti della comunità di “internati liberi” di Sorbolo, Cesare Danon, Klara Danon e Sumbul Isidoro, si lamenta il fatto che gli ebrei confinati non siano riusciti, dopo più di un mese dall’arrivo nel comune, a fare un bagno caldo, e, contestualmente, si richiede al Podestà di concedere l’autorizzazione a recarsi una volta al mese a Parma, dove era presente un bagno pubblico; nella seconda, datata 20 luglio 1942, un’internata rivolge al Podestà una richiesta di aiuto: la donna dichiara infatti di non riuscire a pagare 250 lire in più rispetto all’affitto mensile, definendo la cifra “una somma rispettabile per noi internati, senza lavoro e guadagno”; la terza è una dichiarazione sottoscritta in data 22 gennaio 1943 dall’ebrea dalmata Danon Tilda, abbandonata dal marito subito dopo il suo arrivo a Sorbolo. Tilda scrive alla Questura di Parma: “Poiché la sottoscritta ha famiglia a sé essendo coniugata e abbandonata dal proprio marito e non avendo mezzi per vivere, rivolge rispettosa domanda per essere ammessa al sussidio giornaliero di lire otto e all’indennità di alloggio di lire cinquanta al mese”.
“Gli “internati liberi”, sottoposti dalle autorità statali e comunali ad un rigido controllo e tenuti in misere condizioni economiche, come si è visto, potevano trovare sollievo soltanto nelle comunità locali. Numerosi episodi testimoniano la solidarietà della popolazione dei comuni del Parmense nei confronti dei confinati: alcune foto testimoniano, nel comune di Mezzani, l’integrazione degli “internati liberi”, tra cui la famiglia Isakovic, nel tessuto sociale del paese di internamento. Casi analoghi si possono riscontrare anche in altri comuni: a Soragna, per esempio, il parroco, insieme ad altri cittadini, aiutò materialmente la comunità di ebrei stranieri del paese cercando di impedirne la deportazione anche dopo l’8 settembre; a Borgotaro la condizione degli internati appariva al Questore simile a quella “dei turisti e viaggiatori” (Archivio di Stato di Parma, Questura di Parma, b. 97, lettera del Questore al Podestà di Borgotaro). Questa dichiarazione, nonostante il paragone risulti improprio, testimonia chiaramente, nel comune di Borgotaro, l’esistenza di una convivenza pacifica e solidale tra internati e popolazione locale.
Fonti:
- M. Minardi, Invisibili. Internati civili nella provincia di Parma, 1940-1945, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 111-145.
- M. Minardi, Tra chiuse mura. Deportazione e campi di concentramento nella provincia di Parma 1940-1945, Montechiarugolo, Comune di Montechiarugolo, 1987, pp. 53-57.
- M. Minardi, Le terre de’ Mezzani. Storia di un comune della Bassa Parmense nell’età contemporanea, Mezzani, Comune di Mezzani, 1989, pp. 123-128.
- Archivio comunale di Sorbolo.