Durante i vent’anni di regime dentro San Francesco era collocato il carcere della città, ben noto ad antifascisti, dissidenti ma anche criminali comuni. Dopo l’8 settembre 1943, tuttavia, il numero di reclusi aumentò significativamente, includendo partigiani, ebrei, ex prigionieri alleati, renitenti alla leva.
Gli edifici del carcere – allora racchiusi da muri, come suggerito ancora oggi dalle tracce del perimetro murario sulla pavimentazione di Piazzale San Francesco – furono significativamente danneggiati dai bombardamenti degli angloamericani, e in particolare da quello, massiccio, del 13 maggio 1944. Ad essere colpita fu un’ala dell’edificio. Molti dei prigionieri morirono, altri riuscirono ad evadere, altri ancora invece non ne ebbero la possibilità, o scelsero di restare – è il caso, ad esempio, di Inigo Campioni e Luigi Mascherpa, due marescialli che decisero di andare incontro al proprio destino, e che sarebbero stati successivamente fucilati.
Un ulteriore episodio drammatico legato a San Francesco riguarda tre guardie carcerarie, ricordate oggi da una lapide nel piazzale insieme a Lodovico Freschi, commissario di Polizia caduto per la libertà. Gennaro Capuano, Enrico Marchesano e Giuseppe Patrone furono arrestati dalla Brigata Nera e poi fucilati perché, segretamente, aiutavano i membri della Resistenza clandestina. Obbligati dalla Brigata Nera, furono i loro stessi colleghi a formare il plotone di esecuzione.